LE "RADIOSE GIORNATE" DELLA
PRIMAVERA DEL '45
LA CESSAZIONE DELLE OSTILITA’
DELLA Ia BRIGATA NERA MOBILE DI MILANO (26 APRILE 1945)
Con "l' onore delle
armi" e a resa avvenuta, con fucilazioni indiscriminate
Marino Viganò
Alla
I Brigata Nera Mobile viene concesso l'onore delle armi: dette armi saranno
materialmente versate da
tutti coloro che si trovano
in caserma in un locale da destinarsi; gli ufficiali conserveranno la pistola
(1)".
Quando
il 26 aprile 1945 il colonnello Giulio Lodovici, già federale di
Apuania e vicecomandante la I Brigata Nera mobile "Italo Barattini",
chiede e ottiene la condizione preliminare per un patto di cessazione delle
ostilità con il settore ticinese del C.L.N. di Milano, Mussolini
ha già lasciato da diverse ore il capoluogo lombardo.
Alla
precipitosa partenza dalla prefettura del suo convoglio, il 25 aprile sera,
e della successiva colonna, il 26 mattina, altri reparti della R.S .I.
restano in città, i più consistenti dei quali la Decima Mas
al comando di Junio Valerio Borghese in piazzale Fiume (attuale piazza
della Repubblica), i battaglioni avieri di piazzale Balbo (oggi piazza
Novelli) e appunto la I Brigata Nera mobile, battaglione "Apuania"
e battaglione "Marche", accantonata nella grande caserma di corso
Italia.
La resa
della Decima "con l'onore delle armi" è nota, raccontata
tra l'altro dallo stesso comandante (2), mentre alla neutralizzazione delle
forze dell'Aeronautica della I Zona aerea territoriale e dei presìdi
minori concorrono sia ordini superiori che notevoli infiltrazioni partigiane.
Scrive in proposito il capitano pilota Bruno Viotto, collegato al S.I.M.N.I.,
servizio informazioni del Raggruppamento divisioni "Di Dio":
"A
questo punto è doveroso da parte mia un riconoscimento al colonnello
pilota Bertolini, ex Comandante della I Z.A.T. dell'ex repubblica, del
quale fui l'Ufficiale di Collegamento con il Comando Piazza di Milano negli
ultimi due mesi. Dopo paziente lavoro di preparazione, riuscii a poter
dare possibilità d'interpretazione ai miei sentimenti e poi essere
sufficientemente sicuro di quelli del succitato colonnello. Da questo derivò
un'opera veramente sgretolatrice delle forze armate dell'aeronautica repubblicana
di Milano e Provincia. Venne sabotata e prevenuta ogni intenzione del Comando
Piazza di far intervenire forze armate aeronautiche in operazioni preventive
alla preparazione patriota al movimento d'insurrezione; vennero disgregate
le forze del fascistissimo 9° Battaglione comandato dal defunto ten.
col. De Biasi, trasferendo fuori sede forti aliquote di uomini ed intere
compagnie. Venne localizzata la Squadra Azzurra e nettamente separato e
distinto l’attività dell'aeronautica da quella fascista di alcuni
suoi sconsiderati elementi. E quando il Sottosegretario gen. Bonomi, unicamente
preoccupato della sua incolumità personale e della salvezza dei
propri bagagli, cercava abbandonare indegnamente Milano, trovandomi al
Comando di Piazza (Via Brera) mi precipitai al Ministero e palesandomi
apertamente al col. Bertolini quale appartenente al Corpo Volontari della
Libertà, lo invitai ad opporsi alla tendenza estremista in base
alla quale si voleva uscire in città con una colonna di camion armatissimi
e muniti di molte mitragliatrici per fare una sortita in possibile unione
alla Xa Mas e successivamente proseguire per la zona di Como, ed a trasmettere
quale unico Comandante di tutte le forze aeronautiche di Milano e provincia,
l’ordine che nessun militare uscisse dall'isolato e che non fosse sparato
un solo colpo di arma da fuoco contro le forze partigiane già circolanti
nelle adiacenze, addossando responsabilità ai singoli militari,
sia da parte del Governo Luogotenenziale, sia da parte del governo della
repubblica. In questo frangente il fermo contegno del col. Bertolini, che
avrebbe potuto reagire militarmente sia nei confronti miei personali che
nell'aderire al progetto di sortita, ha prevenuto ogni spargimento di sangue
e fatto in modo che non fosse sparato un solo colpo di arma da fuoco
e che una forza totale di circa 4.000 uomini armatissimi, forniti di viveri,
acqua, munizioni ed automezzi si arrendesse senza colpo ferire(3)".
Molto
più drammatica la situazione in corso Italia, dove la caserma offre
accoglienza a diverse centinaia di fascisti di formazioni volontarie, per
lo più camicie nere, ancora in armi. Tra loro appunto la I Brigata
Nera mobile, nata nel luglio '44 a Carrara come Brigata Nera "Mussolini",
ripiegata dalla Toscana e trasferita per operazioni - ricorda Giulio Lodovici
- in un primo tempo a Prevalle di Brescia (dove le viene aggregata la Brigata
Nera "Marche"), poi sulle Alpi piemontesi, infine a Milano "dove
eran già alloggiati un battaglione di mutilati ed un reparto dell'esercito,
unità che si sciolsero poi il 25 aprile" (4). Precisa ancora
Lodovici:
"Organico
della Brigata: comandante generale Bruno Biagioni; escludo assolutamente
il nome di Fernando Gori che non ricordo di aver mai conosciuto. [...]
Vice comandante colonnello Giulio Lodovici; tenenti colonnelli Rocco Ciaccia;
Gasperetti; Gattini; Iacobelli; Rocco, assegnati alla Brigata ed addetti
a varie mansioni; maggiore D'Angelo (amministrazione e organizzazione servizi);
maggiore Vannozzi comandante del battaglione "Marche"; capitani
Oltrabella, De Michelis, Amadio; diversi subalterni comandanti dei plotoni
o addetti ad altro incarico, dei quali ricordo solo qualche nome. [...]
Situazione a Milano a fine aprile 45: ero poco in contatto con altri reparti
anche perché ero impegnatissimo nei miei compiti. Mi recai qualche
volta al Comando Generale dove era esaminata la situazione e si studiava
il da farsi: incontravo allora tutti i massimi esponenti che avevano seguito
Mussolini, ma non ho mai avuto contatti approfonditi con nessuno di loro
se si eccettua Romualdi. Si parlava dell'ultima resistenza nel ridotto
della Valtellina, ma la cosa non ebbe più seguito anche, credo,
per difficoltà logistiche. L'ultima volta che fui chiamato espressamente
seppi che Mussolini con un reparto sarebbe partito per il Nord; noi avremmo
dovuto restare in Milano in attesa che gli automezzi impiegati per quel
viaggio fossero tornati a Milano a prelevarci; questo perché, malgrado
i nostri auto parchi fossero pieni di mezzi, la maggior parte di questi,
per non dire la totalità, non funzionavano; mancavano pezzi di ricambio
e carburante. Compresi subito che il piano sarebbe stato inattuabile sapendo
che ormai tutte le strade erano presidiate dai partigiani e compresi anche
che sarebbe stato difficile anche per la colonna Mussolini arrivare a destinazione
(5)" .
Le difficoltà
sono aumentate, in quello scorcio d'aprile, dall'irreperibilità
del comandante di Brigata, generale Bruno Biagioni, ispettore del P.F.R.,
secondo Lodovici "specialista nel non comandare un bel nulla e sopra
tutto nel saper sparire quando sentiva odore di pericolo o di imminenti
azioni di combattimento". Queste le condizioni alla vigilia dell'insurrezione,
quando il vicecomandante rientra a Milano:
"Intuendo
prossima la fine io ed altri due ufficiali prendemmo una licenza per recarci
a salutare le nostre famiglie che erano sfollate a Saltrio di Viggiù.
In quella località ci raggiunse la notizia dello sciopero generale
(preludio dell'insurrezione) ed io, pur a due passi dal confine svizzero,
decisi di seguire la sorte dei miei uomini rimasti a Milano, quegli uomini
che erano partiti con me e che mi avevano dato tutta la loro fiducia. Anche
gli altri due ufficiali presero l'identica decisione (6)" .
In città
tutto precipita, mentre il reparto "forte al momento di circa mille
uomini, armatissimo (avevamo infatti, oltre alla nostra dotazione già
cospicua, acquisito tutto l'armamento dei reparti acquartierati nella caserma
di Corso Italia e che si erano dissolti", resta tagliato fuori e senza
ordini, come ribadisce il vicecomandante:
"Ci
fu soltanto comunicato che noi dovevamo attendere il ritorno degli automezzi
della colonna Mussolini per trasferirci a nostra volta al nord; poi più
nulla. Attesa di reparti che dovevano giungere; contatti con la Decima
Mas (non so se a quel momento i suoi effettivi fossero della consistenza
dei nostri) e noi nel dimenticatoio. Anche se effettivamente avremmo potuto
dare un valido contributo e fornire, ad esempio, uomini di scorta alla
colonna Mussolini; aggiungo uomini ben armati, più che decisi e
fedelissimi; ma tant'è (7)".
È
evidente che un altro anello ancora, uno dei tanti, troppi - della catena
predisposta per il ripiegamento si è spezzato, se il vicesegretario
del P.F.R. Pino Romualdi, a Como il 26 aprile, scrive:
"Da Milano arrivavano
intanto le prime notizie sulla presa del potere da parte del C.L.N.A.I.
Ma nulla su cosa stesse accadendo alle forze fasciste, alle quali Pavolini
aveva consentito di ripiegare successivamente. Mi illudevo tuttavia che
altri fascisti, individualmente o a gruppi, avessero ancora potuto sganciarsi,
per ricongiungersi con noi in serata (8)".
Così non avviene,
e la fine della I Brigata Nera mobile "Italo Barattini" come
reparto operativo, in parte ricostruita dal giornalista Ricciotti Lazzero
(9), è un esempio significativo del clima, delle attese e delle
disillusioni dell'aprile '45. Ricorda dunque il colonnello Lodovici:
"Arrivati
a Milano con mezzi di fortuna, trovai un reparto già impegnato in
combattimento in una vicina fabbrica; del generale [Bruno Biagioni] non
si avevano notizie (fu scovato poi dai partigiani nascosto in casa di una
sua amante). Piano piano dovemmo asserragliarci in quella enorme caserma
dove intanto erano affluiti fascisti sbandati di altri reparti e famiglie
intere; il che naturalmente aggravava la situazione tanto più che
sia il cappellano che il medico erano rimasti tagliati fuori. Resistemmo
per ore all'assedio concentrico, sotto un fuoco infernale rispondendo con
armi leggere; non volli far entrare in azione i mortai per non colpire
case italiane ed eventualmente donne e bambini. Nel pomeriggio del 26 fummo
chiamati all'unico telefono non ancora tagliato dalla mitraglia dal Comando
del C.L.N. che chiedeva la nostra resa. Riattaccai senza nemmeno rispondere.
Alla seconda telefonata mi fu detto che era possibile trattare: risposi
(dopo aver informato tutti gli ufficiali e la truppa ed aver avuto il loro
consenso) che doveva essere inviata in caserma una delegazione guidata
da un ufficiale di almeno pari grado al mio e con pieni poteri. Il risultato
delle trattative è condensato in un patto di cessazione delle ostilità
(non di resa). Ho potuto conservare l'originale in maniera fortunosa malgrado
le perquisizioni e gli spostamenti nelle diverse carceri. Vedrà
che era concesso agli ufficiali di conservare la pistola e, cosa per me
più importante, che alla Brigata era concesso l'onore delle armi;
inoltre tutti, per la loro incolumità, avrebbero dovuto essere sotto
la protezione del C.L.N. ed essere lasciati liberi. La notte stessa, mentre
io ero impegnato nelle varie operazioni di consegna con gli ufficiali del
C.L.N., arrivò un camion che, secondo la versione dataci, avrebbe
dovuto portare gli ufficiali al loro comando generale per poterli fornire
del lasciapassare; il trasferimento avveniva di notte per evitare possibili
reazioni della folla. La notte stessa senza processo ed in dispregio di
tutti i patti furono fucilati gli ufficiali elencati. Il camion avrebbe
dovuto tornare per prelevare anche tutti noi; ma in effetti non tornò
più. Noi poi e sempre in dispregio del patto fummo trasferiti da
prima in altre sedi come prigionieri (io finii in una scuola di via Tabacchi
dove sfuggii molto fortunosamente alla fucilazione). In seguito ci portarono
a S. Vittore (10)".
Ma chi, e come, del Comitato
di liberazione nazionale alta Italia ottiene la cessazione degli scontri
attorno alla caserma di corso Italia? Si legge in un notiziario del Corpo
volontari della libertà a firma del colonnello dell'esercito Giovan
Battista Calegari, collegato alla resistenza moderata delle "Fiamme
Verdi":
"Verso
le ore 19 del giorno 25 corr. un mio informatore mi comunicava che, in
conseguenza della partenza da Milano di Mussolini e Pavolini, il Comando
di tutte le formazioni di partito: Brigate Nere - Legione Autonoma Muti
- Decima Mas - ecc. - era passato al Dr. Cantagalli, già capo della
Segreteria Politica del Partito Fascista Repubblicano. [...] Alle ore 8
[del 26 aprile] il Cantagalli accompagnato dal frate Padre Eusebio giungeva
nella mia abitazione e, dal mio telefono, rispondendo ai quesiti che gli
venivano fatti dalle diverse formazioni nere, confermava loro l’ordine
di rimanere fermi negli accantonamenti in attesa dell'esito degli accordi
che avrebbero avuto immediatamente inizio. Mentre si attendeva l'arrivo
di Corrado [Bonfantini, comandante delle "Matteotti", N.d.r.]
continuavano a pervenire al Cantagalli richieste della Muti, della
Decima, della Caserma di Corso Italia, dove si erano concentrate le camicie
nere, al fine di essere autorizzati ad agire. Il Cantagalli confermava
ripetutamente che nessuna azione venisse intrapresa e che si attendesse
l'esito degli accordi (11)".
L' attività
del Capo di gabinetto del P.F.R., Augusto Cantagalli, e del Cappellano
delle Brigate Nere, padre Eusebio Zappaterreni, per evitare "gravi
spargimenti di sangue" (12) risulta anche dal verbale d'interrogatorio
giudiziale reso dal Calegari, collegato pure al "servizio strategico
del comando americano in Italia":
"Il
Cantagalli aveva dato disposizione che nessuna azione venisse intrapresa
dalle forze fasciste, malgrado queste gli domandavano come dovevano comportarsi.
Il Cantagalli venne poi accompagnato al comando piazza ove ebbi occasione
di conferire col gen. Cadorna. Il Cantagalli e Padre Eusebio vennero consegnati
al Comando Piazza. L'azione del Cantagalli tenne ferme le brigate nere.
Il Cantagalli mi coadiuvò efficacemente, mentre il Padre Eusebio
era soltanto presente (13)".
Conferma lo stesso padre
Eusebio nel suo verbale processuale:
"Quando
fui arrestato possedevo un salvacondotto rilasciatomi dal Comitato di liberazione
di Milano perché insieme al signor Cantagalli abbiamo disarmato
le rimanenti forze fasciste. Io ero in tonaca e mi misero in borghese.
Cantagalli ed io eravamo insieme con partigiani armati. Il giorno 26 mi
venne consegnato il salvacondotto. Svolsi la mia opera di pacificazione
nei giorni 26 e 27. Poi restammo a disposizione del Comitato di liberazione.
In questa mia opera di pacificazione conseguii un risultato positivo. Avevo
telefonato alla sede del partito di via Manzoni 10 di arrendersi. Avvisai
alcuni ufficiali della brigata Genova. Telefonai alla Prima Brigata mobile
di corso Italia di cessare la lotta. Questo feci io col signor Cantagalli.
Insieme facevamo queste telefonate. Al telefono dicevamo "Parla padre
Eusebio e Cantagalli" e dicevamo di arrendersi. Qualche volta parlavo
io e qualche altra Cantagalli (14)".
Si tratta,
del resto, del proseguimento di un'attività [frutto della disillusione
del Cantagalli sulla situazione politico-militare già accennata
in una lettera dei primi d'aprile secondo cui "Tutto è disordine,
tutto è euforia, tutto è fondato sull'argilla"(15)]
di consegna della sede milanese del partito iniziata sin dal 25 sera. Ricorda
infatti Mario Niccolini, già componente il Direttorio nazionale
del P.F.R.:
"Passai
a vedere cosa accadesse alla sede del P.F.R., in via Manzoni al 10. In
piazza della Scala c'era un carro armato puntato verso via Manzoni e la
sede del P.F.R., e c'erano anche dei soldati stranieri; per terra, fuori
della sede del Partito fascista repubblicano, c'erano anche dei sacchetti
di sabbia, credo, e fuori della sede del partito c'erano anche due mie
conoscenze che stavano dandosi da fare, entrambe con una fascia tricolore
attorno al braccio. Uno era Augusto Cantagalli, italiano all'estero proveniente
dal Belgio, durante la R.S.I. capo della segreteria politica del P.F.R.;
l’altro era padre Eusebio Zappaterreni, cappellano militare che io conoscevo
bene e che era mio amico. Cantagalli e padre Eusebio erano fuori della
sede del P.F.R. e trattavano la resa del partito con il C.L.N.A.I. (16)".
In questo
modo i reparti - e in particolare la I Brigata Nera mobile -, già
lasciati a se stessi, spesso privi di comando e di collegamenti, ora raggiunti
da inequivocabili ordini di resa dai responsabili politici del partito,
sono costretti a regolarsi ognuno a suo modo in una città divenuta,
nel giro di poche ore, nemica ad ogni angolo di strada. Precisa Lodovici:
"Trattammo
da pari a pari, a volte con i denti fuori, e non furono le buone parole
a convincermi: prima di prendere contatto col C.L.N. avevo sentito il parere
di tutti gli uomini; se si tratta con onore, fu la risposta, ero autorizzato
a concludere. D'altra parte eravamo stati abbandonati, senza speranza di
una soluzione che non fosse una carneficina; eravamo sotto un fuoco martellante
e già vi erano i primi caduti; il cappellano ed il medico erano
stati tagliati fuori. In caserma avevamo donne e bambini; tutto ciò
mi spinse a concludere nel modo che sa, anche perché non trattavo
con una banda di partigiani, ma col C.L.N. ed io mi illudevo che, come
mi era stato insegnato, un patto del genere fosse ritenuto sacro (17)".
La fucilazione
di quasi tutti gli ufficiali della I Brigata Nera mobile, dopo la cessione
dell'armamento, non è che uno dei tanti episodi simili accaduti
un po' dovunque, quando all'"onore delle armi" non presiedono
formazioni partigiane controllate direttamente dal Comando generale del
C.V.L. - e sono davvero poche, nel momento insurrezionale e del prevalere
delle forze "rivoluzionarie" legate ai partiti di sinistra: comunista,
socialista, azionista. Commenta con amarezza Lodovici:
"Per
lunghi mesi ho invidiato la sorte di quegli ufficiali prelevati in caserma
pensandoli liberi ed in seno alle loro famiglie; mai avrei potuto pensare
che il C.L.N. guidato da uomini che poi hanno potuto raggiungere anche
la fama di padri della patria (!) avessero potuto arrivare a tal punto
di abiezione da non onorare nemmeno un patto del genere. Mi era stato insegnato
a suo tempo che tali patti, una volta stipulati fra nemici, dovevano considerarsi
sacri. La verità sulla sorte di quelle povere persone venni a conoscerla
solo dopo la mia prima evasione, molti mesi dopo (18)" .
Un'amarezza
aumentata, ancora di recente, da articoli giornalistici che, parlando delle
stragi di Sant'Anna di Stazzema commesse dalle S.S. di Reder, affermano
che ai tedeschi si affiancava "un consistente nucleo di fascisti comandati
dal capo delle brigate nere di Massa Carrara (Lodovici) "(19). E questo
quando una sentenza di Corte d' assise ha dichiarato nel 1948 che "nulla
è risultato a carico del Lodovici, non emergendo da alcun elemento
processuale, ch'egli abbia comunque partecipato agli incendi, devastazioni,
omicidi avvenuti in Vinca e Monzone", ed anzi:
"...da
varii testi (Monti Paolo, Nobili Nicola, Ottolini Pietro, Granai Rolando
etc.) risulta, che egli arrivò dopo che i tedeschi avevano iniziato
la loro opera distruttrice e diede opera a contenerla ed a liberare arrestati,
che probabilmente sarebbero stati fucilati, e risulta inoltre che tale
opera benefica esplicò anche in favore di altri arrestati in situazioni
diverse (testi Perico Giacomo, Palmieri Mario) (20)" .
Poiché
sulle modalità della cessazione delle ostilità della I Brigata
Nera mobile a Milano il colonnello Lodovici ha chiesto altre volte "di
ricordare degnamente" i commilitoni, e sulla vicenda di Stazzema ha
domandato "un aiuto" a rettificare le voci riferite, questo articolo
potrà forse contribuire un poco...
Indice di abbreviazioni
e sigle
A.P. = archivio privato
C.A.S. = Corte d'assise
straordinaria
C.L.N. = Comitato di liberazione
nazionale
C.V.L. = Corpo volontari
della libertà
I.S.R. = Istituto storico
della resistenza
P.F.R. = Partito fascista
repubblicano
T.A.A. = testimonianza all'autore
Z.A.T. = Zona aerea territoriale
Ringraziamento
Si ringraziano l'avvocato
Giulio Lodovici (Campese del Giglio) per aver rievocato i fatti e fornito
documenti, e l'Istituto storico della resistenza di Como, per aver consentito
la consultazione del Fondo Lazzero.
NOTE
(1) A.P. Giulio Lodovici
(Campese del Giglio). Condizioni per la cessazione dell'ostilità
tra la la Brigata Nera mobile ed il Comitato di Liberazione Nazionale di
Milano, Milano li 26/4/1945 -XXIII.
(2) S. Marengo, Gli "Amerikani"
e la "Xa Mas", in: "Il Borghese" n. 7, 15 febbraio
1976 p. 508.
(3) A. Migliari, Tra
servizi segreti e Resistenza, Torino, Autonomi, 1985, pp. 430-433.
Attività svolta dal capitano A.A. r.n. Pilota in S.P.E. Viotto
Bruno dal 9 settembre 1943 sino alla Liberazione, Milano,
28 maggio 1945.
(4) T.A.A. Giulio Lodovici
(n. Carrara 7/10/1908), Campese del Giglio 6 ottobre, 28 novembre e
18 dicembre 1990.
(5) T.A.A. Giulio Lodovici,
cit.
(6) T.A.A. Giulio Lodovici,
cit.
(7) T.A.A. Giulio Lodovici,
cit.
(8) P. Romualdi Fascismo
repubblicano (a cura di Marino Viganò), Milano, SugarCo 1992,
p. 180.
(9) R. Lazzero, Le Brigate
Nere, Milano, Rizzoli,1983, pp. 242-243.
(10) T.A.A. Giulio Lodovici,
cit.
(11) I.S.R. Como, Fondo
Lazzero. Fascicolo processuale C.A.S. padre Eusebio e Cantagalli, Notiziario
n. 106, 27 aprile 1945.
(12) I.S.R. Como, Fondo
Lazzero. Fascicolo processuale C.A.S. padre Eusebio e Cantagalli, Notiziario,
cit.
(13) I.S.R. Como, Fondo
Lazzero. Fascicolo processuale C.A.S. padre Eusebio e Cantagalli, Verbale
d'interrogatorio.
(14) I.S.R. Como, Fondo
Lazzero. Fascicolo processuale C.A.S. padre Eusebio e Cantagalli.
(15) I.S.R. Como, Fondo
Lazzero. Fascicolo processuale C.A.S. padre Eusebio e Cantagalli, Lettera
a Padre Eusebio, 4 aprile 1945 - XXIII.
(16) T.A.A. Mario Niccolini
(n. Firenze 30/ 4/1914), Milano, 8 aprile 1988.
(17) T.A.A. Giulio Lodovici,
cit.
(18)T.A.A. Giulio Lodovici,
cit.
(19) Una scia di morti,
in: "La Nazione" [Firenze], venerdì 3 maggio 1991.
(20) A.P. Giulio Lodovici
(Campese del Giglio), Sentenza, Perugia, 29 novembre 1948.
STORIA VERITA' N. 16 Luglio-Agosto
1994 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)